lunedì 28 aprile 2008

CAPITOLO III: Il Nuovo Testamento e l'Inferno

Nel NT troviamo tanti testi che parlano di un destino cattivo per gli empi. L'esclusione definitiva della salvezza trattano p. es.: Mt 25,41.46 (separazione fra «pecore» e «capri»: «Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli ... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna»); 7,21-23 («Molti mi diranno in quel giorno: ... Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità»); 1 Cor 6,9-10 («O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adulteri, né effiminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio»); Ef 5,5-6 ecc.
Troviamo descrizioni diverse per la pena: il verme che non muore (Is 66,24: Mc 9,48), l'oscurità, il pianto, lo stridore di denti (p. es. Mt 8,12; 13,42.50) ecc. Il ruolo primario viene svolto senz'altro dal "fuoco"(1).
Nei "guai" sulle città di Galilea il "hades" (= "sheol") non significa soltanto il paese dei morti, ma il rimanere in esso, la condanna dell'inferno: "E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!" (Mt 11,23; cf. Lc 10,15). Gli spiriti cattivi vengono incarcerati nel "abyssos" (Lc 8,31; Ap 9,1s.11; 11,7; 17,8; 20,1.3).
Esistono anche espressioni generali: perdizione (Mt 7,13; 10,28; 2 Ts 1,9; Gv 17,12 ecc.), "morte seconda" (Ap 2,11; 20,6.14), non essere ammesso al regno di Dio (Lc 13,28; 1 Cor 6,9).
Per ciò che riguarda l'esclusione eterna dalla salvezza, Origene aveva affermato che l'aggettivo "aiónios" potesse significare un "tempo lungo", ma limitato. Questa interpretazione si oppone chiaramente al contesto biblico, come si vede nel parallelismo con la beatitudine eterna (p. es. Mt 25,26). La sempiternità dell'"aiónios" viene anche sottolineato con formule determinate, come "eis tous aiónas tôn aiónon" = "nei secoli dei secoli" o similmente (Ap 14,11: "Il fumo dei loro tormenti salirà per i secoli dei secoli"; 19,3; 20,10; la stessa espressione per la durezza eterna del regno di Cristo).
I testi biblici parlano espressamente di "molti" dannati, p. es.: Lc 13,22-25 (molti non entreranno per la porta stretta); l'immagine delle due vie: Mt 7,13-14; indicazioni concrete: p. es. Mt 23,13 (gli scribi e farisei: «chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci»). Più volte viene ribadita la difficoltà d'entrare nel regno celeste: p. es. Mt 24,22 («se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati»); Atti 2,47 («il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati»).
Quando durante il Vaticano II qualcuno chiese di parlare espressamente nel testo conciliare di molti dannati, la Commissione teologica del concilio rispose quale interpretazione autentica della "Lumen gentium": il fatto di molti dannati è già indicato dal Signore stesso nei testi citati con la forma grammaticale del futuro, non con il condizionale. Quindi non è necessario ribadirlo ancora espressamente (2).
A volte vengono sollevate delle obiezioni contro la realtà della dannazione eterna, riferendosi al testo biblico:
1) Ci fosse un'altra fila di testi dove si parla della volontà salvifica di Dio per tutti: 1 Tm 2,4-6 (Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità»; Gesù Cristo «ha dato se stesso in riscatto per tutti»); 1 Cor 15,22 («come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo»); Rom 11,32 («Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia»); Gv 12,32 («Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me»).-
Non possiamo creare una contraddizione interna nel messaggio del NT. Bisogna tener conto del contesto concreto di ogni brano e della differenza fra redenzione obiettiva (Gesù ha sofferto per tutti, offrendo a tutti la possibilità di salvarsi) e la redenzione soggettiva (l'arrivo della grazia che non succede contro la volontà del soggetto creato; altrimenti sarebbe un automatismo magico).
2) L'inferno sarebbe una minaccia soltanto pedagogica.- Una tale spiegazione non è in armonia con il Dio che è la verità stessa.
3) L'inferno sarebbe soltanto un'"immagine" apocalittica.- La Scrittura non si spiega soltanto in immagini, ma usa anche delle espressioni generali (perdizione ecc., vedi sopra).
Il rinvio all'inferno appartiene alla grande prospettiva del messaggio evangelico: Gesù richiede un processo di discernimento di cui il risultato si prosegue nell’aldilà (vedi p. es. le parole profetiche di Simeone in Lc 2,34s.: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati di pensieri di molti cuori").
La maggior parte dei testi si riferisce all'inferno dopo la parusia, cioè implica anche il tormento del corpo (viene usata qui la parola «geenna»). Ma la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro mostra che la distinzione fra buoni e cattivi comincia già dopo la morte (qui si tratta di strati diversi nell’»hades», negli inferi).

1) Del "fuoco eterno" parlano Mt 3,12; Lc 3,17; Mt 18,8; 25,41; Giuda 7.
2) Cf. POZO (1990) 426.