lunedì 28 aprile 2008

CAPITOLO VIII: Le pene dell'Inferno e richiamo alla conversione

La pena del danno (poena damni) significa non potere vedere Dio ("oscurità"), una privazione che corrisponde alla mancanza della grazia santificante nel momento della morte. E' la conseguenza dell'avversione a Dio.
Il peccato, secondo Agostino, consiste di due elementi: l'avversione a Dio e la conversione ad un bene creato (aversio a Deo/conversio ad creaturam). Per la conversione al bene creato si trova una pena positiva:
la pena del senso (poena sensus), cioè la pena che provoca un influsso doloroso da fuori. Corrisponde al peccato personale (1). "Del senso": riguarda anche la vita sensitiva dopo la risurrezione.
Implica il "fuoco". Troviamo due estremi nella valutazione del "fuoco": soltanto una metafora come altre immagini (Origene) oppure una realtà da noi conosciuta (p. es. Bautz, 100 anni fa: i vulcani come segno concreto dell'inferno che si trova all'interno della terra (2)). Bisogna invece applicare una comprensione analoga: il paragone all'essere legato al corpo (Agostino, Tommaso). Indica una sofferenza che castiga.

Rinvio per la situazione pastorale
Non tacere l'inferno: è un "pressante appello alla conversione" (CCC, n. 1036). Il rinvio all'inferno è un mezzo importante per evitare la dannazione.
Ma non bisogna isolare la dottrina: la tematica primaria della predicazione deve essere l'amore di Dio che implica anche che Dio rispetta la libera scelta dell'uomo. Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno, come espresse chiaramente il Concilio di Trento contro Calvino (DH 1567; cfr. già il Concilio di Orange del 529: DH 397). Dio cerca di salvare ognuno. La dannazione è la conseguenza di un'avversione volontaria (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine (CCC, n. 1037).
Un editoriale della rivista «La Civiltà cattolica» conclude la sua esposizione sull’inferno con un rinvio equilibrato:
Oggi «nella predicazione e nella catechesi non si parla quasi più dell’Inferno con danno del popolo cristiano, che in tal modo non è più posto dinanzi alla tremenda possibilità reale di perdersi (3) e quindi non è messo dinanzi all’urgenza di decidersi per Gesù Cristo e di vivere in conformità col Vangelo, resistendo al peccato e al male, che ne minaccia il destino eterno. Il messaggio cristiano è un messaggio di speranza, di gioia e di fiducia nell’amore infinito di Dio Padre e di Cristo Salvatore; ma non si deve dimenticare che l’uomo è debole e peccatore, e ha sempre bisogno di essere chiamato alla conversione: ‘Convertitevi e credete al Vangelo’ (Mc 1,15). Fu, questa, la prima parola di Gesù, ma fu anche la più decisiva, e la Chiesa non deve stancarsi di ripeterla per stornare gli uomini dal pericolo della perdizione eterna» (4).

1) Cfr. p. es. STh I-II q. 87 a. 4.
2) Cfr. BAUTZ, J., Die Hölle, Mainz 21905, 33-40, citato in VORGRIMLER, op. cit., 295.
3) NB: l’Editoriale non ne intende solo una possibilità astratta: «Non ha senso ... affermare che esiste la possibilità reale della dannazione, ma che in concreta nessuno si danna» (p. 112).
4) EDITORIALE, p. 119.